Pensieri & Parole, Post PhD

A come Attesa #2

Di nuovo?! Ebbene sì. Mio malgrado sono ancora in attesa. Meno trepidante, intendiamoci, sono più sul rassegnato andante, ma pur sempre di un’attesa si tratta. È infatti successo che inspiegabilmente i risultati tanto attesi e preannunciati non sono arrivati. A nulla è valsa la notte insonne ad aspettare la mail che deciderà del mio destino! Ho solo passato la giornata fuori di testa per la mancanza di sonno, la frustrazione e, ovviamente, l’ansia.

Fortunatamente in questi casi la soluzione c’è: buttarsi sul lavoro. Peccato che nel mio caso il lavoro non fa che ricordarmi per l’appunto di questo risultato che fremo di ricevere. Più che un risultato, in effetti, si tratta di una sentenza. Avrò un nuovo contratto per il prossimo anno? Potrò continuare la mia ricerca? Ha un senso tutta la fatica fatta per scrivere un progetto in cui ho praticamente pianificato cosa farò giorno per giorno per i prossimi 48 mesi? Tutte domande a cui, ahimè, ancora non ho risposta. Nelle brevi ore di sonno agitato, ho sognato di vincere la fellowship, poi di perderla, poi di ricevere una mail che però non si capiva se fosse positiva o negativa. Poi ho iniziato a dirmi che in California – dove andrò a breve – farà caldo e qui invece nevica ancora e non so come fare a far entrare il giaccone invernale dentro il bagaglio a mano.

Saltando di palo in frasca la notte agitata è passata, lasciando il posto a una giornata fatta di continui aggiornamenti della mail, del portale della fellowship, e del sito del Guardian, perché ansia chiama ansia e quindi era giusto prendermi la dose quotidiana di brutte e inquietanti notizie. Per ben dieci minuti poi mi sono distratta con le ultime notizie sul covid, sulla nuova subvariante che sta mandando all’aria tutti i piani dei governi di far finta che ormai il covid è finito, tornate pure a consumare e crepare, crepare e consumare, tanto tra un po’ moriremo tutti in un conflitto atomico. Stanca di tutta questa pesantezza sono uscita, la meta: il supermercato. Fare la spesa è per me un momento di relax, un luogo di perdizione in cui indugiare sui piaceri dei sensi più ancestrali. In Nord America, poi, il supermercato è anche un’attrazione turistica: cibi mai visti in confezioni così grandi che neanche riesco a portarle senza farmi aiutare da qualcuno. Si trova anche cibo italiano mai visto in Italia, tipo i tortellini tricolore ai quattro formaggi o taralli mosci alle olive. Prima che ve lo chiediate, no, non li ho comprati. Ho preso però altra Nutella, nel barattolo medio da 750gr che se continuo così durerà sì e no fino a mercoledì (oggi è lunedì, qualora mi stiate leggendo a distanza di molto tempo da oggi).

Tornata a casa ho trovato il coinquilino che preparava i cuculi calabresi. Indovinate com’è finita? Ebbene sì, il cuculo è stato spaccato a metà e riempito di Nutella. Consigliatissimo (cara Ferrero, se tu volessi assumermi per sponsorizzarel Nutella a livello mondiale, potrei essere disponibile).

Morale della favola: sono ancora in attesa, non ho combinato niente perché il pensiero di cosa ne sarà di me, del mondo come lo conosco, della cara vecchia Europa e dell’umanità intera, mi ha tenuta occupata tutto il giorno. Così ho mangiato, mangiato, mangiato. Adesso ho la gastrite, ho sonno ma come i bambini non voglio andare a dormire. Sia mai che arrivi la tanto sospirata email…