Pensieri & Parole, Post PhD

R come Ritardo

Avrei potuto iniziare questo post con P come Procrastinazione, ma sarà per un’altra volta.

Mi sono resa conto che ormai la media dei miei post è di uno ogni due-tre mesi! Eppure, se solo potessi scrivere col pensiero, di post ne scriverei almeno uno al giorno. Perché non so voi, ma quando faccio cose triviali inizio a scrivere mentalmente. Non parlo solo di poemi epici che farebbero impallidire qualsiasi scrittore rinascimentale, ma anche vere e proprie riflessioni filosofiche sulla vita intense e pregne di significato.

Ovviamente ci sono anche le infinite discussioni che faccio tra me e il mio interlocutore immaginario. Lo sappiamo come funziona, no? Abbiamo una discussione, magari anche accesa, la gestiamo malissimo, ne usciamo distrutti, e poi nella tranquillità del nostro bagno, tra boccette di shampoo e dentifricio, intavoliamo una discussione degna di Cicerone. Io ho anche una sequela di creme per il viso che devo dire mi sostengono sempre senza remore in qualsiasi dibattito. Non so il vostro, ma il mio interlocutore immaginario mi risponde anche, dando vita a intense conversazioni che potrebbero creare una serie più lunga di Beautiful e con più colpi di scena della Casa di carta.

Sì, vabbè, ma che c’entra il ritardo?, vi chiederete a questo punto. Il ritardo c’entra perché sono in ritardo di mesi su questo post. Perché, presa dalle mie riflessioni di vita e le discussioni durante l’igiene orale, sono passati mesi e siamo nel 2022. Nel duemilaventidue. Faccio persino fatica a scriverlo, e onestamente questo inizio anno sa tanto di 2020, tanto che forse neanche mi prenderei la briga di imparare a scrivere la data senza errori (avete presente, no?, quando per il primo mese dell’anno ancora mettete in automatico l’anno precedente). Anzi, lo chiemeremo 2020 bis. Oddio, forse no, non vorrei portasse sfiga. Perché diciamocelo, per quanto siano successe anche cose carine (suppongo, per qualcuno di voi), potendo tornare indietro forse il 2020 non lo rivivrei, ma qui sembra che cambi la retorica ma non i fatti.

E dunque rieccoci al ritardo, perché questi due anni di pandemia, fatti di vita sospesa, di vita precaria (che sì, dovrei esserci abituata alla precarietà, ma tant’è) io mi sento tremendamente in ritardo. Non solo nella scrittura di questo post, proprio nella vita. Come avrete intuito dai miei riferimenti ormai démodé, sono una fanciulla nel pieno dei suoi trent’anni. Vivo precaria, in ogni senso: non ho un lavoro fisso, non ho un posto geografico fisso, ho solo pensieri fissi che però appunto si chiamano fissazioni e non è che siano proprio una cosa positiva. Positiva in senso antico, dell’era pre-covid, s’intende.

Intorno a me vedo persone lanciatissime nella loro carriera, che comprano casa (!!!!!!!!!!!!!), che fanno figli, si sposano, fanno i secondi figli, divorziano, si risposano, cambiano lavoro, diventano manager ecc. ecc. Per carità, anche io ho raggiunto tappe di vita importanti. Ormai so infilare il piumone del letto queen size tutta da sola e senza impiccarmi, ad esempio. Faccio ancora un po’ fatica nel piegare le lenzuola senza dargli forme strane, ma ci sto lavorando e sono sicura che entro la fine di quest’anno raggiungerò anche quest’obiettivo. Però ecco, diciamo che sul resto mi sento un po’ in ritardo.

C’è una cosa, però, che devo dire mi trova sempre in prima linea, sempre al massimo, sempre senza competizione: l’ansia. Se fosse una disciplina olimpionica sono certa che vincerei l’oro, campionessa mondiale indiscussa. Ogni giorno ne trovo una nuova, e devo dire che mi sono anche circondata delle persone giuste, quelle che se non avevo pensato a una cosa che poteva andare storta mi ci fanno pensare loro, aiutandomi a completare il mio spettro di ansie. Tipo: siamo a gennaio, e io ho l’ansia per il covid, ho l’ansia perché luglio è dietro l’angolo e temo di ritrovarmi disoccupata. Ho l’ansia perché qua ci stanno -16° e non riesco ad andare a correre, ho l’ansia perché devo presentare a una conferenza e non so bene di cosa sto scrivendo, ho l’ansia perché sono lontana da tutti i miei cari e chissà che succede.

Poi però, come in tutte le cose, mi fermo e rimetto le cose in prospettiva. Mi godo lo spettacolo di Toronto sotto la neve, con i cerbiatti che vivono felici in un cimitero e si lasciano avvicinare, le dita che si congelano prendendo sfumature di blu che non pensavo di poter vedere. Allora mi calmo, finché non arriva una nuova ondata, un nuovo pensiero. Tipo che questo post andava intitolato A come Ansia e mi viene l’ansia di aver scritto qualcosa di incoerente e privo di senso.

Buon anno!

Brain concedes
[theawkwardyeti.com]

4 pensieri su “R come Ritardo”

  1. Da Doctoral Visiting Reasearcher a Oxford per 5/6 mesi (senza contare l’anno di Eramsus al Jesus College di Cambridge e quello a Saint Andrews per il mio secondo MA in Classics) non posso che ritrovarmi pienamente nelle tue parole. Le bellissime descrizioni della situazione di precarietà in cui ti trovi e che gentilmente offri in questo blog sono purtroppo condivise dalla maggior parte di coloro che hanno avuto la pessima idea di scegliere facoltà umanistiche (soprattutto – anzi forse quasi solamente – in Italia) e, magari, di perseverare nell’errore continuando con un PhD in humanities. As far as I am concerned, posso dire che, nonostante abbia una casa di proprietà a Milano (l’unica cosa di quelle che hai elencato), non passa giorno che non provi, anche io nel pieno dei miei trent’anni, quella terribile ansia provocata dalla precarietà della mia esistenza, dal confronto continuo con le persone che mi circondano (amici, conoscenti, …) che hanno una vita sicura, un* compagn*, una carriera sfolgorante, che hanno fatto scelte di vita diverse, migliori e, sicuramente, molto più ponderate della mia. Allora mi ritrovo a maledire l’attimo in cui ho deciso di non provare il test di medicina nel lontano 2008, anno della mia maturità, deprimendomi sempre di più. Ti prego, se la mia preghiera potrà mai servire a qualcosa, di non smettere di scrivere, perché con i tuoi post infondi speranza: sono sicuro di non essere l’unico a trovare conforto in essi. Anzi, si licet et si tempus tibi est, ti chiedo di postare più sovente, perché il tuo blog mi giunge come un faro nell’oscurità, come una luce calda; quel senso di “unione nell’afflizione”, in fondo, è una delle poche gioie in questo periodo buio della mia vita, nonché sprone per tener duro in questa vasta e spesso condivisa “lacrimarum vallis”. Un caro saluto, Federico

    1. Caro Federico, che te lo dico a fare, nel pieno di questo tunnel nero di precarietà e confronti perdenti a cui si aggiunta anche la mazzata del covid con il suo isolamento e mancanza di opportunità, il tuo commento mi ha fatto scendere una lacrimuccia. Grazie delle belle parole! Io ogni tanto scrivo, un po’ perché cercare di buttarla sul ridere è la mia unica arma, un po’ perché penso che chissà che le mie parole non arrivino a chi sta vivendo una situazione come la mia e sentirsi sulla stessa barca in fondo aiuta (mal comune, mezzo gaudio come si suol dire). Tu pensa le coincidenze, anche io mi maledico per non aver fatto il test d’ingresso a medicina e per aver avuto la malsana idea di fare un PhD!
      Cercherò di scrivere, perché un commento come il tuo vale ogni secondo di tempo che ci metto in questo purtroppo trascurato piccolo blog.
      Un caro saluto con la speranza che tu possa almeno goderti la tua casetta a Milano!

      Ah, e complimenti per il tuo percorso! Vedo che anche tu sei recidivo ma complimenti lo stesso 😉

  2. Ben ritrovata, Alozzup!
    Pur nuovo di questo blog, pur non avendo nulla a che fare con Phd et similia, indi non conoscendo sul campo, ma solo immaginandole, tutte le difficoltà della situazione, una cosa posso permettermi di dirti:scrivi, scrivi e ancora scrivi! Beh, ovviamente, compatibilmente col resto dei tuoi impegni. Insomma, non dico di farti legare alla sedia come Alfieri chiese al suo domestico (anche perché avere un domestico ha un suo costo), esci pure, corri sulle lastre di ghiaccio di Toronto, goditi un tramonto a – 16°,sgranocchia churros e burro di arachidi etc. etc… Però, avendo il dono della scrittura, coltivalo. Sia per esser seria che per esser più leggera. Sull’ansia sei in buona compagnia, per quanto mi riguarda non me la faccio mai mancare, il periodo poi induce a crescendo degni di Rossini, ma anche il buon Ravel col suo Boléro lo possiamo tenere in giusta considerazione!
    La sua gestione (dell’ansia) si presta a soluzioni strettamente personali ed a volte molto originali. Non andrò nei particolari e mi limito alla banalissima, sfiancante, scarpinata di tre ore in mezzo alla natura,oppure alla camminata sempre nella direzione del sole, quando c’è. Molto simpatica quando, a volte, invece si affaccia prima dell’alba a letto. Lì la cosa si complica un pochino e la soluzione spesso è alzarsi,ma sì, cosa è ‘sto poltrire sotto le coperte, vergogna! Concludo con l’ansia da palcoscenico,una delle più micidiali, da ex, per ora, attore amatoriale. Una sensazione di pre-morte quando si sta per metter il piedino in scena. Ma quella si supera, almeno così finora è stato.Anche perché loro (gli spettatori) non sanno quello che devo dire e fare,per fortuna… sennò sai che ansia?! Chiudo e reitero….scrivi,scrivi e ancora scrivi, in compagnia, magari, di numerosi muffin e cioccolata calda!

    1. Ciao compare ansioso, e ancora benvenuto sul blog! Non so se la scrittura sia un dono ma mi piace pensare di riuscire a far (sor)ridere i lettori di passaggio. Quel passetto in scena è il momento in cui l’ansia tocca l’apice, però è anche il momento in cui si entra in una trance di panico più totale e a quel punto non capendo più niente si riesce a fare la cosa giusta, o sbaglio? E poi, anche se è sbagliata, in fondo, nessuno lo sa. Il bello del fare gli attori è che si crea una realtà dove nulla è ciò che deve essere ma è tutto com’è. Sono riuscita a buttare fumo negli occhi e far finta di sapere cosa sto facendo?
      In effetti camminare aiuta tanto, soprattutto qui a Toronto d’inverno, quando ci sono lastre di ghiaccio invisibili e si comincia inaspettatamente a pattinare, diventando equilibristi a tal punto che una carriera nel circo sembra essere un’alternativa più che valida!
      Scriverò, mangiando comfort food così comfort da far quasi dimenticare l’ansia. Certo, l’effetto rebound è dietro l’angolo, ma si può sempre ricorrere ad altra cioccolata.

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