Pensieri & Parole, Post PhD

A come Attesa

Tempo fa, dopo un assaggio di vita d’ufficio con orari di quelli che una vita privata te la puoi scordare, ho scelto di fare un ultimo tentativo nel mondo accademico. Precaria per precaria, mi son detta, meglio esserlo facendo qualcosa che mi piace.

Tranquilli, non è un altro post sulla precarietà. È un post per tutti quelli che si ritrovano in attesa. Ad aspettare un qualcosa, preferibilmente non Godot. Come migliaia di altri ricercatori quest’anno ho fatto domanda per il bando di ricerca europeo più importante, noto con l’affettuoso nome di Marie Curie (MSCA per chi è del mestiere). I risultati, pare, usciranno domani 14 marzo 2022. Le possibilità di successo credo siano inferiori a quelle di vincere con un singolo biglietto la lotteria. Dopotutto, il principio è lo stesso. Così, ci si ritrova in trepidante attesa, facendo finta di fare altro e non pensarci troppo per ingannare il tempo, che si sa in questi momenti passa più lento che mai.

Tutti noi aspettiamo un qualcosa. Aspettiamo che questa pandemia finisca, che i colloqui per la fine della guerra in Ucraina portino buone notizie, che arrivi la lettera che abbiamo spedito, che qualcuno ci chiami. La lista delle attese è lunga. Per non parlare di Godot, quell’attesa infinita di quel qualcosa o qualcuno che finalmente ci renderà felici. Godot però non arriva mai, e noi rimaniamo fermi. Ma ci sono troppe cose tristi di questi tempi, e questo post vuole invece essere un momento di leggerezza.

Dunque, dicevamo, l’attesa. Cosa fare per ingannare l’attesa? Il mio coinquilino lavora come un matto, lavora come se la sua pubblicazione cambierà il mondo, come se la continuità della vita umana dipendesse dal suo libro. Lo invidio, lo ammetto. Sdraiata a letto, avvolta nel piumone, mentre fuori nevica, mentre leggo L’Educazione sentimentale di Flaubert, mangiando biscotti e nutella, ogni tanto mi chiedo se non farei meglio a seguire il suo esempio. Eppure ho fatto del non lavorare nel fine settimana un mio mantra (salvo scadenze inderogabili, s’intende), quindi con una scrollata di spalle scaccio il pensiero stacanovista e torno al mio pomeriggio all’insegna del relax. Ho anche fatto una pennica di quelle che nelle giornate frenetiche rimpiangi più dell’amore perduto. Ora che però sono sveglia, e mancano ancora molte ore alla comunicazione dell’esito di un assegno di ricerca che potrebbe cambiarmi la vita, mi domando cos’altro fare per ingannare il tempo.

Scrivo, ma come vedete ho poche idee. La mente torna sempre lì. Avete presente, no? Quel retropensiero sempre presente che la vostra mente mette più o meno a fuoco a seconda di quanto siete concentrati su ciò che state facendo. Un po’ come Madame Arnoux per Frédéric, per capirci. Così alterno lettura, scrittura, Netflix, biscotti, nutella, tè verde. A ripetizione. In attesa di uscire nell’imprevista tempesta di neve per andare al ristorante persiano. Non ho mai mangiato persiano, ma se è simile al libanese so già che lo adorerò. Adorerò un po’ meno uscire con una temperatura percepita di meno 17 gradi centigradi. Ma pur di ingannare quest’attesa, farei qualsiasi cosa.

2 pensieri su “A come Attesa”

  1. Ciao Allozup,intanto in bocca al lupo per questa attesa! A me il persiano è piaciuto quando lo provai in una fredda giornata d’inverno a Torino, meno di dieci anni fa. A dire il vero non ricordo nulla di ciò che mangiai, ma uscii fuori soddisfatto. Mi auguro che capiti anche a te, visto pure il freschetto con cui devi metter fuori il naso a Toronto, freschetto che generosamente la città fornisce da un po’ di mesi a questa parte.
    E dunque l’attesa…. nelle sue varie forme. Edmond Dantès attende la sua vendetta, se la costruisce con estrema pazienza e abilità ( certo, non avesse incontrato l’abate Faria avrei voluto vedere!), Godot lo si attende ma mai lo si incontra, per non dire del sottotenente Drogo nella fortezza Bastiani nel Deserto dei Tartari. L’adrenalina la fa da padrone e di questi solo il Conte di Montecristo, alla fine, potrà dare sfogo e avere successo.
    Nelle nostre, mie anzi, miserrime attese, ti dirò che il tentativo della distrazione ha avuto scarso successo.Gira e rigira la mente va lì, certo una buona tavola aiuta, sempre che lo stomaco non sia chiuso. Ti scrive chi è nato senza il cellulare per cui non solo bisognava, parlo di interessamenti per il sesso opposto, che il telefono squillasse ma si doveva anche stare in casa, pur avendo una segreteria telefonica, ma non si sa mai, magari si inceppa,oppure non parla, si inibisce!Ma chi? La segreteria o la lei chiamante? O tutte e due?! Sempre il mio pensiero positivo… E se poi il telefono fosse isolato? Ecco perché non squilla! Ah, no, la linea c’è…
    Le attese, che stress! Per un sì, per un no, per un voto,per un debutto, per un appuntamento, per quell’ultimo risultato di una schedina che salta, mi capitó il 31 dicembre 1988,a due minuti dalla fine la mia Roma batte il Napoli e mi toglie il 12, e che diamine! Mai ‘na gioia pure quando vincono! Capodanno rovinato, ed era anche a casa mia!
    Insomma, ogni tanto una gioia poi arriva, intendiamoci. Però si affaccia quel Giacomo da Recanati che mi fa immergere, con convinzione, nel suo Sabato, ed ebbene, sì, l’attesa provoca il piacere, che poi svanisce la domenica… e che pazienza!E potevo scrivere altro con la p, anzi con la pa!
    Hai toccato un bel tema, si potrebbe scrivere tanto e tanto ancora, parlare di scaramanzie, di riti apotropaici da attuare, ma ognun alla fine ha le sue tecniche e strategie, tutte rispettabili. Trovo che biscotti e Nutella siano una valida soluzione, possibilmente col contenitore enorme di Nutella che usó Nanni Moretti in Bianca! Io mi ci tufferei dentro immediatamente e non provate a tirarmi fuori,attendete un mio cenno, grazie!Giusto se squilla il telefono, va’!

    1. Silzio! Ben ritrovato su queste pagine. Il caro, vecchio Giacomo è in effetti una presenza la cui positiva voce rimbomba in queste lunghe ore d’attesa. Molto belli gli esempi letterari che hai citato, come ho fatto a dimenticare Drogo proprio non lo so! Gli altri è un po’ che non li frequento e sai come capita, ci si allontana, ci si perde, ci si dimentica. L’opposto di quello che succede per eventi come quello del tuo capodanno 1988! Bei tempi quelli, in cui si poteva fantasticare sulle mie ragioni per cui l’amata non chiamava o non si presentava. Mica come oggi, che si capisce subito che si viene ignorati – anzi, ghosted, come dicono i giovani.

Lascia un commento